se spira

un certo vento,

il mio canneto canta


nel senso che scrivo i miei pensieri

se si vengono a creare 

particolari situazioni d’animo

 

Ho preso una manciata di pensieri
e l'ho gettata al vento
e poi nel vento
ho issato la vela del mio legno.



Nella mia stanza c’è una parete di color pisello piena di chiodi, ai quali, via via, ho appeso le cose che non mi servivano più, come una canna da pesca, una rolleiflex, una racchetta da tennis, un violino, una voightlander, un paio di sci. 
C’è un chiodo rimasto vuoto, dove, prima di uscire, appenderò la speranza.



Il vento del lago
scompiglia i miei pensieri,
li arruffa,
li strapazza,
li sparpaglia,
l'innalza e poi li lascia
cadere lentamente sull'acqua.
Come foglie morte.



Forse
dopo la morte avrò cose migliori,
chissà?
intanto mi piace questa vita
per tutte quelle cose che mi dà.



Ho guardato su 
per la cappa del camino.
Tutta quell'oscurità 
m'ha impressionato,
ma poi 
ho guardato meglio
e lassù
ho visto splendere il cielo.



Gli ultimi raggi di sole di una giornata di maggio
fulgidamente accarezzano
i biondi capelli di una giovane donna.
E' un lampo:
senza pensare alla profondità di campo
impugno la nikon.
L'aurea fanciulla, istantaneamente,
scompiglia i cristalli 
di alogenuro d'argento e la mia mente, 
che resta confusa da quella visione.
Sopra un bastione delle mura di Lucca.


L’ALBERO DEL SILENZIO    
(da “Viaggio nel Sinai”)
…una mattina, io e Ahmed, percorrevamo una pista  poco battuta attraverso un territorio arido e sassoso che si stendeva fino ai lontani monti del Sinai disegnati nella trasparenza del cielo. Il sole era già alto e possente, l'aria era tersa. 
Ero sedotto e al tempo stesso intimorito e soggiogato da quello scenario che mi aveva portato a poco a poco lontano dalla realtà, non percepivo più il rombo del peugeot ed era come se non ci fosse neppure il mio compagno che la guidava. 
Di colpo Ahmed frenò e spense il motore. Scese e andò poco lontano a strappare da un arbusto striminzito, un rametto  con un grazioso fiore giallo senza odore. Questo è il fiore del deserto, mi disse, si trova raramente e porta fortuna. Me lo porse. Fu in quel momento, a motore spento, che mi accorsi del silenzio intorno, un silenzio diverso. Affascinato dal luogo e suggestionato dall’episodio del fiore, mi venne improvvisa la voglia di camminare a piedi fuori pista per addentrarmi in quel silenzio. Dissi ad Ahmed che mi sarei allontanato da solo per scattare qualche foto, che mi attendesse al margine della pista, dove c’eravamo fermati. Lontano, avevo scorto col binocolo un alberello scheletrito e contorto, buono per alcune fotografie d’ambiente. Camminai per circa mezz'ora e finalmente l'albero, in tutta la sua pochezza fu a portata della mia macchina fotografica: era piccolo, scortecciato e privo di foglie, i suoi scarsi rami, all’apparenza senza linfa, sembravano tentacoli tesi nell’inutile tentativo di avvinghiarsi a qualcosa. Scattai qualche foto, poi mi sedetti ai suoi piedi, senza speranza d’ombra. Il sole era intanto salito alto e un vento caldo soffiava da oriente. Mi guardai in giro: non vidi altro che, ondeggiante in lontananza, nel baluginare della calura, l’auto di Ahmed, piccola piccola. Davvero ero solo. 
Io e la natura selvaggia del deserto. Io, l’albero e il silenzio. Non un uccello nel cielo, non un qualsiasi altro animale sulla terra secca, non un insetto fra i sassi d’intorno, non un frinire, non un sussurro. Silenzio. Anche il vento non faceva rumore. 
Ero calato in un completo stato d’apatia e di nonsenso, il clima e il sole non mi opprimevano, non avevo sete, non avvertivo alcun disagio, c’era solo quel silenzio incommensurabile che mi entrava dentro, m’invadeva, era un silenzio pieno di sensazioni diverse, insolite, era un silenzio puro. Come se il mio corpo si fosse sciolto in quel silenzio, ero convinto di non avere più peso, di non esistere più, non avevo pensiero, ero nell'immensità del creato, ne facevo parte come sentivo di fare parte di quel deserto, di quell’arida terra, di quei sassi inerti, di un'altra dimensione senza tempo. Non ricordavo più l’esistenza trascorsa, il futuro, per me, non aveva concetto, c’era solo quello smisurato presente in uno spazio-tempo inesistente.
Poi il pensiero tornò e in quel momento rintronarono le domande. Non fu più silenzio.



FERRAGOSTO
Il gallo cantò. 
Le brume, laggiù, nella valle del Pescia, si colorarono di rosa. 
Il treno parve rotolare, qua sotto, nella valle del Serchio.
Una puntina di sole apparve piano 
sul monte di Matraia 
e fu giorno.
Giorno dell’Assunzione.
Si andò ad ascoltare la messa 
nella chiesa di San Bartolomeo a Ciciana. 
La gente restò poi sul sagrato 
a scambiare saluti, notizie e chiacchiere
in un tripudio di campane a distesa 
e fu festa.
      Festa dell’Assunzione. 
Si tornò alla casa di Adele 
e vennero Giovanni e Simone con le loro donne, 
s’imbandì la tavola con candida tovaglia 
e si mangiò e si bevve. 
A sera tornarono alle loro dimore 
e tutto fu riassettato e fu silenzio. 
Giù in basso, fra gli ulivi, 
abbaiò sommessamente la volpe. 
In alto, fra i quercioli 
risuonò triste il chiù dell’assiolo 
e fu notte. 
      Notte dell’Assunzione.



NOTTE DI SAN LORENZO
Ho visto cadere una stella 
mentre andavo per mano alla mia solitudine. 
Nel ricordo di mamma
che mi diceva, 
mentre una stella cadeva ,
di pensare a qualcosa che avessi voluto, 
guardando la stella cadente 
ho avuto 
un desiderio struggente,
desiderio di te.



Torna l'autunno co' i soliti malanni, 
le monotone piogge, 
gli affanni, le paure 
e folate di vento a rincorrer le foglie nei deserti viali. 
Per iscacciar paturnie e bizzarrie, 
assai ora m'aggrada andar 
per pievi e per badie della mia piana 
e nell'aria serotina annusare 
ad occhi chiusi 
l'odore acre di mosto e il fumo dei camini. 
Or sospiroso con la mente torno 
alla paterna casa 
e con la fantasia 
m'attardo al focolare, 
in compagnia d'un boccale di vino 
e dello scoppiettar d'antiche fiamme.           



Mi piacerebbe tanto saper suonare un violino 
per esprimere la mia malinconia,
oppure un sassofono 
per raccontare la mia solitudine,
anche un pianoforte 
per acquietare la mia rabbia,
perfino un’arpa per tentare di far salire a Dio la mia preghiera.
Ma non sono un musicista.
Però ho una macchinetta fotografica e , 
se guardate bene, 
forse le mie immagini raccontano 
la mia malinconia, la mia solitudine, la mia rabbia, la mia preghiera.



Da quando sei partita,
ogni giorno ho acceso una lanterna
per rischiararti la via del ritorno,
ma il tempo passa
e non ho più lanterne. 



Stamani mi sono svegliato poeta.
avrei voluto qui con me 
tutte le donne della mia vita
per cantare in coro l’inno dell’amore.
Ho portato un fiore alla mia mamma.



SULLA SPIAGGIA, DI SERA
La brezza della sera mi trova ancora su questa spiaggia coi miei pensieri che tutto il giorno si sono sbizzarriti, si sono illuminati col sole del mattino, si sono aggrappati ad una vela gonfia di vento, si sono imbrancati con i ragazzi che giocavano sul bagnasciuga, si sono confusi con la schiuma delle onde che venivano a morire sulla riva, questi miei pensieri hanno corso sul filo dell’orizzonte, hanno volato alto nel cielo con i gabbiani urlanti si sono insinuati nella chioma di una ragazza stesa sulla sabbia hanno indugiato sul suo seno sono scivolati sul suo corpo hanno accarezzato la pelle dorata delle sue gambe hanno baciato le sue caviglie sottili questi miei pensieri si sono intrattenuti ad ascoltare le chiacchiere di due anziane signore vicine d’ombrellone si sono scaldati al sole di mezzogiorno hanno contato le ore della giornata hanno partecipato ai giochi amorosi di due ragazzi che teneramente avvinghiati si esploravano il corpo vicendevolmente con mani leggere questi miei pensieri hanno seguito la scia bianca di un aereo si sono infilati nelle buche che i bimbi hanno fatto nella sabbia  si sono affievoliti come le voci dei bagnanti richiamati dall’ora della cena sono morti definitivamente con la luce del sole che spariva lentamente sotto il filo dell’orizzonte questi miei pensieri che all’attenuarsi della luce del giorno lievitano e si moltiplicano poi si posano su uno scoglio accanto a un pescatore di sogni si sono accodati ad una squadriglia di rondoni che veloci e striduli giravano intorno alla torre hanno giocato con le frange degli ombrelloni, ballerine nel vento sono saltati da una cresta all’altra delle onde hanno ripescato antichi ricordi di epoche diverse di questa stessa spiaggia hanno corso veloci sul profilo delle colline d’intorno rimbalzato sui tetti di terracotta dei casolari sparsi fra la vegetazione mediterranea. 
Ora, alle nove di sera, il sole è ancora all’orizzonte e il suo riflesso sull’acqua fa apparire il mare un immenso crogiolo ribollente d’argento. Questi miei pensieri finalmente si sono liquefatti in quel crogiolo.



ARIA DI MARZO
Aria nuova, si sente già la primavera e i merli cantano in giardino, le gemme gonfiano sui rametti delle piante. Ieri ho sentito un venticello diverso, mi riportava odori e sensazioni di antiche primavere alla ricerca di nidi di passeri da allevare. 
Allora frequentavo la quarta elementare a San Vito sulla via Pesciatina. La mia maestra di cognome faceva Piccinini. Un giorno di primavera piantammo tanti piccoli alberi intorno alla scuola. Chissà come sono grandi ora! devo andare a vedere come sono cresciuti, magari ci vado con Valeriano Bonini di Tempagnano, un mio compagno che veniva a scuola con gli zoccoloni. Faceva un chiasso del diavolo che si sentiva arrivare da lontano correndo, perchè era sempre in ritardo. Chissà dove sarà, mi voleva bene e divideva con me la  sua merenda di pane fatto in casa e salame, a volte il bilordo. Aveva la testa pelata e la cartella rigida di fibra, ci metteva dentro l'astuccio di legno con il lapis la penna e la gomma, il quaderno a righe e quello a quadretti che nel correre facevano il rumore come i sassi dentro un barattolo. 
Nel pomeriggio si giocava a palline sul piazzale della chiesa di Picciorana. 
C'era lo stesso venticello di ieri. 
Ho deciso, vado a cercare Valeriano, parleremo dei tempi andati, se avrà voglia di parlare. Mi piacerebbe giocare ancora per un po' a palline sul piazzale della chiesa di Picciorana. 
Se c'è sempre il piazzale. 
Se trovo Valeriano. 



SAN SILVESTRO
Agli amici che stimo auguro una buona fine dell’anno e tutte le cose più buone per quello nuovo.
Due o tre pensierini di fine anno.
No bilanci, no rimpianti, no rimorsi. 
Solo pensierini e siccome sono uomo di fotografia, pensierini di fotografia. 
Questa mattina dell’ultimo giorno dell’anno, sono sceso in camera oscura, ho scelto un fotogramma di un vecchio negativo e l’ho riprodotto su pellicola fotomeccanica, ho sviluppato, fissato e ben lavato poi, asciutto, ne ho fatto una scansione, qualche “arrangiatina” in fotosciop e poi la stampa.
L'immagine finale non è un gran che. Ritrae alcune barche in una composizione azzarderei assai simpatica, ma nulla di più. E' servita soltanto a scatenare i pensierini di queste ultime ore di un anno che ha segnato non poco l’evolversi della mia carriera fotografica.
Ho detto pensierini, non rimpianti.
Ho sempre fatto fotografia chimica e ora faccio anche quella digitale, perché così vuole il progresso e i tempi, ma sono contento di essere vecchio perchè ho potuto vivere gli anni d’oro della camera oscura. Così, ora, posso apprezzare il digitale.
Nel corso delle “arrangiatine photoshoppiane” effettuate stamani alla foto delle barche, tra tanti altri pensieri, m’è tornato in mente quando m’introgolavo di sviluppo al pirogallolo, oppure quando mi dannavo per inserire nella fotocamera la pellicola rovesciata, tanto per fare qualche foto diversa. O quando aggiungevo allo sviluppo un po' di ioduro di potassio per ottenere una maggiore acutanza, o quando esponevo il negativo ai fumi di mercurio per un'intera nottata. 
Pensierini così. Senza rimpianti.
Domani mattina, per cominciare bene il 2010, anche se pioverà come dicono, uscirò con la mia cassettina a foro stenopeico, poi svilupperò e questa volta stamperò sulla carta Agfa.  Altrimenti qualcuno potrebbe pensare che ho buttato le bacinelle e dalla camera oscura c’ho ricavato un ripostiglio.
Poi nel giorno di Befana, tanto per tener la barca pari, con la mia piccola compatta digitale realizzerò una foto in High Dynamic Range da sottoporre a quei criticoni degli amici del fotoclub (sperando in bene!).



Improvviso il vento 
ho sentito il fremito delle foglie d’argento del
grande pioppo
come il rumore di migliaia di cavallette in
volo 
come lo sciacquio delle garrule acque di
un torrente
come il chiacchiericcio degli storni dentro un 
albero al tramonto
un canto d’amore 
una musica
il grande pioppo dalle foglie d’argento 
uno strumento musicale 
che solo il vento sa suonare
al tramonto 
a primavera



prima di me millenni
dopo di me l’eternità
nel mezzo io, 
flebile bagliore di fulminea scintilla 
di pietra focaia



“E’ una bella serata, le va di fare due passi?”
ha detto robert kincaid a francesca johnson nel film “i ponti di madison county”
....
“ ti va di uscire com me stasera?”
ho detto alla mia donna
“ma come?” ha risposto, 
“non vedi che ho da fare?”
raccolgo i miei sparsi pensieri 
e ciabattando piano 
vado a nasconderli sotto il guanciale
poi mi ficco sotto le lenzuola
in cerca di altri sogni.